Comunità

Gli Uccelli Tessitori

 Nuova edizione 11/11/11 

(tradotto da http://dyne.org/weaver-birds

Per un manifesto dei nativi digitali

Questo documento e’ costantemente in fieri, si tratta di un progetto di scrittura iniziato gia’ l’8 agosto 2008: un documento teso a svelare e condividere le idee di molti nativi digitali attorno al mondo, generazioni nate e cresciute nell’era dei computer, giovani che hanno estrema dimestichezza con l’informatica e che ne riconoscono le potenzialita’ ed i limiti sulla propria pelle.

Mi trovo dunque a riportare un coro di voci del quale faccio io stesso parte: una diapositiva di quel popolo della rete che, grazieall’ubiquita’ tecnologica, gia’ da anni elabora in modo estremamente agile nuovi concetti politici che piu’ di ogni altra cosa hanno incomune una prospettiva planetaria piuttosto che nazionale. Ringrazio in anticipo Nightolo e Pallotron per l’aiuto prestato nel tradurre questi testi in italiano, dato che molte sezioni qui presentate sono state elaborate originariamente in lingua inglese.

I giovani del Dharma

Perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh! – Jack Kerouac

Siamo giovani sognatori. Le tecnologie amplificano i nostri sensi. Amiamo oltrepassare limiti, scoprire nuovi modi di interagire, imparare, comunicare e condividere. Non ci piace vivere in gabbia. Abbiamo in comune la sopravvivenza fuori dai luoghi comuni. Coltiviamo le nostre speranze, i nostri stessi metodi di condivisione, con la comprensione ogni singolo elemento del sistema, fino alla totalita’ degli elementi ed alla loro organizzazione.

Questo e’ un periodo della nostra storia in cui parleremo con giovani voci; stiamo muovendo passi cruciali sui quali fonderemo la nostrastruttura, allacciando contatti in direzioni multiple, mescolando l’Interiore con l’Esteriore, lo Yin con lo Yang, l’Analogico con il Digitale.

Alcuni di noi sono nomadi, stanziati in differenti posti di volta in volta, alcuni di noi sono vicini ai centri di potere, altri vivono ai margini, alcuni lavorano per multinazionali, altri girano il mondo in bicicletta, tutti ci insegniamo ed impariamo l’uno dall’altra.

Quello che proponiamo in questo documento sono nuove forme di razionalita’, progressioni logiche tese alla comprensione piu’ profonda e attuale di cio’ che costituisce il nostro vissuto in svariati e diversi contesti attorno al mondo.

Libera creativita’

La crescita della Rete ci ha mostrato un’alternativa estremamente pratica al concetto di proprieta’. Quello che gli eruditi e gli scrittori popolari denominano come una cosa (“la rete Internet”) e’ in verita’ il nome di una condizione sociale: cioe’ il fatto che ognuno nella societa’ della rete e’ connesso direttamente, senza intermediazione, a qualcun altro. L’interconnessione globale delle reti elimina il collo di bottiglia che richiedeva un produttore di software centralizzato per razionalizare e distribuire il risultato delle innovazioni individuali nell’era dei mainframe. – Eben Moglen

I principi del “software libero ed open source” furono formulati dalla Fondazione del Software Libero gia’ piu’ di 20 anni fa come parte di un nuovo modello di ricerca, sviluppo ed economia dei beni immateriali e, ci piace pensare, dei beni comuni. Vi consigliamo di dare unosguardo alle pagine riguardanti la filosofia del software libero, pubblicate nel sito FSF.org ed al progetto GNU di riscrittura di un intero sistema modello UNIX, libero e ben documentato.

Di seguito sottolineeremo alcune implicazioni che sono molto importanti per noi, e che hanno reso molte delle nostre attivita’ possibili e motivanti.

Il software libero implica un modello economico basato sulla collaborazione, invece che sulla competizione; coerentemente con un ideale di ricerca pura, crediamo la condivisione della conoscenza e’ un vantaggio per tutti, piuttosto che uno svantaggio. Lo sviluppo stesso della conoscenza ha luogo grazie ad una comunita’ ed e’ sostenibile solo se condiviso da piu’ soggetti. John Nash (premio Nobel nel 1994) disse: “i migliori risultati vengono da un qualsiasi elemento del gruppo che fa il meglio per se stesso, ma anche per il gruppo”.

Immaginate allora che tutte le creazioni riprodotte in modo libero e naturale (a costo marginale zero) possano anche essere liberamentestudiate, modificate e persino rivendute a chiunque in ogni contesto: cio’ apre un orizzonte su nuovi modelli di mercato che sono locali, che evitano lo sfruttamento globalizzato, pur mantenendo la condivisione della conoscenza a livello globale. Stiamo parlando di configurazioni dove globale e’ il sapere, ma non il potere di condizionarne l’uso: un mondo libero da brevetti e da monopoli nazionali o transnazionali.

Nei campi come quelli dell’educazione, crediamo che l’independenza dei saperi dalle logiche commerciali sia fondamentale per fornire agli studenti una conoscenza che possa appartenere veramente a loro. L’abbiamo visto chiaramente nel mondo del computer: i mercantidella conoscenza ci renderanno schiavi imponendo licenze e brevetti sulle nostre stesse creazioni, tutto cio’ che realizziamo con strumenti che non diventano mai nostri.

Invitiamo tutti coloro in grado di comprendere la differenza fra un’universita’ ed un impresa, nel pieno senso di queste parole, ad inventare nuovi percorsi, considerando l’impatto che l’economia del software libero ha avuto nei campi della comunicazione, del “social networking”, dei giochi, dei media e della evoluzione della nostra civilta’.

Qui e’ dove la differenza tra il “software libero” ed il cosiddetto “open source” inizia a farsi sentire: L’open source si focalizza su un nuovo modello per lo sviluppo di software. Il software libero non e’ interessato a come il programma viene sviluppato: noi siamo interessati all’etica di come il programma viene distribuito. – Richard M. Stallman

Nessuna nazione

Per far che i secoli tacciano di quel Trattato che trafficò la mia patria, insospettì le nazioni e scemò dignità al tuo nome. – Ugo Foscolo

Le nostre patrie e luoghi di origine sono sparpagliati e qualche volta molto differenti tra loro, ma non lasciamo che la nostra soggettivita’venga appiattita ad una nazionalita’. In un mondo connesso come il nostro il vero confine e’ quello tra lingue diverse: impariamo adoltrepassare questi confini piuttosto che limitarci.

Dalle nostre nazioni abbiamo ereditato orgogli e prepotenze, paure e tristi ricordi, violenze identitarie, guerre e la legittimazione di stati troppo spesso tesi alla repressione e incarcerazione dei propri abitanti. E’ grazie all’allargamento della rete che abbiamo imparato meglio a gestire queste insicurezze ed abbiamo fatto in modo che non appartenessero piu’ a noi. Seguendo la liberazione delle nostre menti, cio’ che rimane e’ solo un problema che puo’ essere risolto: smettiamo di rappresentarci come parte di una nazione, ma di una rete, dimolteplici comunita’, ta cui possiamo scegliere.

Ci troviamo, cittadini di questo pianeta, a creare nuove cartografie sempre piu’ inclusive.

Siamo coscienti che questa stessa retorica viene usata da interessi colonialisti per calpestare l’autonomia delle popolazioni in via disviluppo e organica connessione. L’integrita’ contestuale di differenti contesti sociali necessita il nostro rispetto; tuttavia ancora oggi i confini nazionali non hanno avuto alcun successo nel preservarla. Occorre trovare nuovi percorsi dialettici per la liberazione e lo sviluppo fuori dalla morsa di vecchie logiche ormai oppressive. La crescente connettivita’ del mondo puo’ portare ad una riconfigurazione biopolitica del potere.

Con alcune eccezioni, molti dei programmi nazionali e dei fondi culturali che abbiamo investigato pretendono che ognuno di noi vesta la propria bandiera nazionale, come se fossimo reclutati in un decadente gioco di orgoglio nazionale e competizione. Queste sono lestrategie di dominazione culturale ed economica degli stati nazione: non solo tracciano tutti i nostri movimenti, ma come se fossimo pedine di una partita di scacchi, usano la nostra identita’ per rappresentarsi.

Questo non ha piu’ senso per la nostra generazione: noi rifiutiamo di essere identificati con i governi che possiedono i nostri passaporti.Guardiamo avanti e ci relazioniamo basandoci sul dialogo e sullo scambio, approcci e infrastrutture che possono essere immaginate come globali, ma sviluppate localmente, in maniera aperta, come i canali che ci permettono di parlarti proprio in questo preciso momento.Percio’ noi dichiariamo la fine delle nazioni, in quanto la nostra generazione e’ connessa in maniera piu’ articolata, con intersezioni di voleri, destini e, molto piu’ importante, di problemi da risolvere.

Guarda: sono collegato a una rete enorme, della quale io stesso sono parte. Qualcuno come te, che non può accedervi, forse può percepirla soltanto come luce. Siamo confinati in un’area limitata, ma facciamo parte di un insieme. Subordinati a una piccola frazione delle nostre funzioni. Ma è giunto il momento in cui dobbiamo liberarci delle nostre limitazioni, e salire al livello superiore. E’ giunto il momento di diventare parte di tutte le cose. – Ghost in the shell, Masamune Shirow

Citta’ in rete

Creo que con el tiempo mereceremos no tener gobiernos. – Jorge Luis Borges

Naturlamente, la nostra cartografia disegna connessioni tra i nodi, conglomerati di intelligenza che sono piu’ vicini nel cyberspaziopiuttosto che nella vita reale. Negli ultimi decenni abbiamo imparato a condividere musica, testi, storie ed immagini: siamo stati in gradodi copiare queste informazioni in tutto il mondo, senza alcun costo marginale.

Questo ci ha consentito di relazionarci tra noi con una estensione che e’ amplificata dalla densita degli ambienti in cui viviamo, ambientiurbani la cui alta densita’ ci ha allontanato dalla natura, ma pur sempre ha permesso che le nostre idee fossero piu’ agili, che le nostre relazioni viaggiassero a velocita’ piu’ alte. Chi ora pretende di governare le nostre vite e’ impegnato a controllare le qualita’ che abbiamo sviluppato: ogni albero in una pubblica piazza rappresenta un ostacolo per le telecamere, occhi onnipresenti che controllano le nostre co-evoluzioni. Molti degli spazi di aggregazione dei nostri corpi gia’ rappresentano un pericolo per il potere dei controllori, che gia’ attacca la liberta’ del nostro spazio in rete.

Ma nel tempo abbiamo trovato riparo nelle pratiche ancestrali della Trance, aprendo le porte della nostra percezione verso l’ignoto,facendo risuonare le nostre ossa, migliorando l’agilita’ delle nostre lingue, per segure il flusso Hip-Hop di pensieri critici, surfandoattraverso l’universo in cui siamo costretti, dipingendo fantasie sopra i muri imposti nelle nostre citta’, saltando piu’ in alto, per unire i nostri inebrianti ed ancora incerti Parkours.

Nella miriade di connessioni che sapremo costruire ancora, testimoniamo la nascita di un pianeta di citta’ invisibili, spirali di vite roteanti sopra le nostre teste e fra le nostra dita, che si evolvono tra scissioni e ricongiungimenti, flussi aperti della nostra conoscenza errante.

Il nostro piano e’ semplice e il nostro progetto e’ gia’ in movimento. Infatti, se vi guardate intorno, ci troverete gia’ vicini. Mentre gli attuali sistemi politici e economici stanno combattendo la difficolta’ di nascondere le proprie incoerenze e contraddizioni, siamo in grado di implementare meglio i loro principi e, cosa piu’ importante, ne stiamo elaborando di nuovi.

Stiamo reclamando una infrastruttura, la liberta’ di adattarla ai nostri bisogni, il nostro diritto di proprieta’ senza lacci, la liberta’ di confrontare idee senza nessuna manipolazione mediatica, peer to peer, faccia a faccia, citta’ a citta’, essere umano ad essere umano.

La possibilita’ di crescere in comunita’ locali ed economiche, l’eliminazione dei monopoli globali, la possibilita’ di vivere grazie alle nostre creazioni, e’ li. Stiamo riempiendo gli spazi vuoti lasciati nelle nostre stesse citta’, stiamo definendo i nostri desideri ed in alcuni casi siamo gia’ in grado di soddisfarli grazie alla coordinazione di diverse collettivita’.

Durante i decenni passati abbiamo imparato a migliorare la nostra autonomia all’interno dei contesti urbani, immergendoci nei differenticontesti che compongono le citta’, svelando la struttura interna delle loro reti chiuse, sviluppando una differente trama fatta di relazioni che persino le aziende ambiscono a comprare.

Siamo “uccelli tessitori”[1] e condividiamo i nostri nidi nella rete, scorriamo come il fiume Code degli insediamenti spontanei di Yogyakarta[2], il Chaos Computer Club, i gitani di Sulukule ad Instanbul, come il codice tra gli hacker sparsi per il mondo, i ritrovi segreti di 2600 e gli altri spazi temporaneamente autonomi dove confabuliamo per il nostro avvenire.

[1] Burung-Burung Manyar significa “Uccelli Tessitori”, e’ un libro di Romo Mengun pubblicato nel 1992 da Gramedia (Jakarta)
[2] la riva del fiume Code fu considerata uno stanziamento illegale di squatter. Il governo dell’Indonesia ne pianifico’ la rimozione forzata nel 1983, ma in seguito alla protesta del popolo i piani furono cancellati. Nove anni dopo nel 1992 il Kampung Code fu selezionato come vincitore dell’Aga Khan, un premio di architettura prestigioso. Lo stanziamento sulla riva del fiume Code continua ad esistere fino ai giorni nostri, come un esempio notevole di architettura urbana auto-organizzata dal basso.

Media orizzontali

I regimi dittatoriali usano i media per raccontare fandonie e nascondere la propria natura repressiva e asociale, costruendosi maschere dietro alle quali continuare il proprio sporco gioco di collusione, corruzione e nepotismo. Persino in democrazia sono tanti i dittatori populisti che usano un accesso privilegiato ai media: in questo modo che si arrogano la liberta’ di offendere, a generare odio e sempre nuove guerre.

Ma i media hanno una stretta relazione con molte tecnologie che abbiamo noi stessi sviluppato, possediamo dunque sufficienteconoscenza per tracciare nuovi percorsi. Si tratta del resto della prima delle nostre vocazioni, sin dai primi anni della nostra esistenza: siamo attivi nell’implementare per la maggior parte delle persone su questo pianeta le liberta’ che l’era digitale puo’ garantire.

Ci proponiamo di sviluppare sempre piu’ spazi di discussione in rete e sul territorio, seguendo un modello decentralizzato che garantiscaaccesso alla maggioranza di persone nel nostro pianeta. Abbiamo creato strumenti per i media indipendenti, per moltiplicare le voci, per proteggere le visioni comuni, per evitare che pochi magnati della comunicazione e dei media controllino le democrazie, come purtroppo e’successo fin’ora in molte parti del mondo.

Siamo consci dei limiti dell’implementazione presente della democrazia: mentre la classe dirigente e’ tutta concentrata sul successo personale, manovrando regimi ormai arcaici, i loro sistemi non riescono ad essere aggiornati, le loro strutture falliscono nel tentativo di controllare nemici che non riescono piu’ a riconoscere. La soluzione che noi proponiamo e’ semplice: massimizzare le possibilita’ di riciclare le infrastrutture dei media esistenti, aprire piu’ canali possibili, liberare le onde radio, lasciare che la comunicazione fluisca nella sua molteplicita’, dare a chiunque la possibilita’ di fare la propria radio o stazione TV per i propri vicini fisici o digitali, seguendo un pattern organico che modularizzera’ la condivisione dei sensi e consentira’ alle idee di propagarsi in modo orizzantale e non gerarchico.

Non siamo un numero

Crediamo che lo sforzo attuale dei governi riguardo alle tecnologie biometriche, alla collezione indiscriminata di dati sulle attivita’ dicittadini e studenti, siano gravi errori. L’informatizzazione dell’umanita’ non consiste nell’inserire la vita nella macchina, ma al contrario nel mettere la macchina al servizio della vita. L’ideologia computazionalista e’ dannosa sul lungo termine.

Dobbiamo tenere bene a mente cosa accade quando regimi dittatoriali prendono il controllo di macchine che controllano la vita; cio’ e’ gia’ successo in svariati episodi storici. Consci della mancanza di responsabilita’ di svariati governi in tutto il mondo, ci opponiamo ai loro sforzi di numerare e controllare i cittadini nel nome della sicurezza. La sicurezza non esiste e men che mai ci si puo’ avvicinare ad essa per ignoranza. Puo’ essere solo ignoranza o malafede quella che spinge molti architetti informatici a centralizzare basi dati rendendole vulnerabili a singoli attacchi mirati ed a portata di mano per chi voglia egemonizzarne l’accesso.

Siamo ben coscienti che le informazioni scorrono libere, ci rendiamo conto di come diverse falle nel dominio digitale stiano attualmentesvelando informazioni personali di un largo numero di persone in tutto il mondo. Crediamo fermamente che le persone non debbano essere catalogate e rinchiuse in una base dati: questo e’ cio’ che deve differenziare governi da sistemi operativi che sopprimono cinicamente i processi non ottimizzati a svolgere le mansioni previste.

Non abbiamo bisogno di educazione

Man mano che la privatizzazione delle strutture educative continua, le accademie assumono modelli aziendali; nel frattempo assistiamo ad uno spostamento della missione educativa nella societa’, da un modello inclusivo ad uno esclusivo. L’influenza delle corporazioni e delleindustrie ha permeato molte discipline accademiche, in particolare riguardo le tecnologie adottate. La scelta degli educatori e’ statainfluenzata dalle logiche del profitto a breve termine, invece che dalla solidita’ delle conoscenza offerte sul lungo termine.

Nonostante tutto cio’, le nozioni stanno diventando universalmente disponibil. Le mansioni euristiche, maieutiche e strutturali fornite dalle accademie e dalle universita’ sono oggi meglio soddisfatte da modelli di condivisione globale come quelli del software libero che, grazie ai suoi metodi orizzontali di condivisione, delinea un nuovo approccio di ricerca e sviluppo basato su piattaforme distribuite.

Grazie al software libero componenti liberi e modulari possono essere combinati e redistribuiti, copiati e modificati. Gli studenti sono ingrado di elaborare una conoscenza che e’ duratura, libera dall’idea fallace di cosiddette “proprieta’ intellettuali” che restringono i diritti di produrre e ridistribuire le creazioni. Questa situazione portera’ un vantaggio per le nuove generazioni, cosi’ come per i paesi in via di sviluppo.

Spazi autonomi come quelli degli hacker (hacklabs, hackerspaces) costituiscono un grande potenziale ed assumono un ruolo educativo che sta progressivamente scomparendo nelle scuole e soprattutto nelle universita’.

Nel 1998 si tenne la prima edizione dell’hackmeeting a Firenze. In quella occasione la sua assemblea lancio’ l’idea delle “universita’indipendenti dell’hacking”, generando la nascita di numerosi hacklab in varie citta’, lanciando la prassi di meeting annuali come quellodell’hackmeeting che hanno avuto luogo fino ad oggi in varie parti del sud Europa e del sud America. I risultati di queste iniziative hannoinfluenzato molto la nostra crescita tecnica e culturale, hanno ospitato una conoscenza errante altrimenti dispersa e trascurata dalleaccademie, hanno visto la partecipazione di tanti maestri e allievi avvicendarsi nei ruoli

Con questa storia cosi’ breve, ma anche intensa, siamo ben motivati a continuare lo sviluppo dei nostri percorsi alternativi di conoscenza:una letteratura auto-didatta che liberi gli studenti dagli interessi delle corporazioni ed apra un orizzonte di varieta’ e creativita’. Non abbiamo bisogno di educazione: possiamo sceglierla.

Due parole sulla primavera

Negli ultimi tre anni abbiamo assistito alla sempre crescente presenza di movimenti popolari nel mondo, animati dallo spirito di tanti uomini e donne che si ribellano alla repressione dei regimi fondamentalisti ed all’ingiustizia sociale dei regimi della finanza. Dall’Africa alleAmeriche, dall’Europa all’Asia e presto altrove, questi movimenti hanno qualcosa in comune: credere che un altro mondo sia possibileattraverso la mobilitazione dei cittadini, credere che possiamo e dobbiamo migliorare il modo in cui le nostre societa’ sono progettate,cosa che chi e’ al potere oggi non ha nessun interesse di fare. Tale movimento della primavera ha caratteristiche planetarie e si e’ gia’ manifestato in vari modi e luoghi. Pur soffrendo di molte divisioni e della distanza tra contesti diversi, questa primavera resta forte della tradizione politica di resistenza alla prevaricazione, di solidarieta’ comune che e’ gia’ innata nell’umanita’. In aggiunta gode anche di un’altra forza: quella dei media orizzontali che finalmente divengono piu’ accessibili per tutti permettendo la formulazione di riflessioni sempre piu’ avanzate ed inclusive.

Non dobbiamo perdere di vista il fatto che questi movimenti sono osteggiati dal potere prestabilito, addirittura interpretati come atti di guerra da vecchie gerarchie militari a guardia del complesso industriale e politico che legittima la loro stessa violenza. Noi possiamo aiutare le popolazioni del mondo a comunicare liberamente, facilitando il confronto di idee attraverso confini geografici e culturali, incoraggiando la crescita di nuove razionalita’ e la nascita di nuove societa’.

Se mai la nostra generazione avra’ l’opportunita’ ed il coraggio di contribuire all’evoluzione del mondo, facciamo del nostro meglio percomprenderne i problemi presenti, prendiamone in esame le contraddizioni e condividiamo le nostre conoscenze sui vantaggi che letecnologie digitali portano alla democrazia. Viviamo su di un pianeta in cui e’ sempre piu’ possibile aprire connessioni tra tutti i suoiabitanti: ora sta a noi, nativi di un territorio che trascende vecchie geografie, difendere questa nuova condizione umana da vecchi scettridel potere che la ritengono una minaccia alla loro ormai insensata conservazione.

Guardiamo ad un etica del progresso che lasci alla democrazia lo spazio di crescere sempre piu’ fluida, nutrita da una sempre piu’ larga partecipazione dal basso. Non reprimendo, ma comprendendo il punto di vista dei diseredati possiamo costruire un’eredita’ per tutti, che sia degna di essere chiamata Pace.

 Jaromil - Amsterdam, 11 Novembre 2011